Per alcuni aspetti i due sono l’uno il contrario dell’altro. De André ha collaborato con moltissimi artisti, Gaber con molto pochi (il suo alter ego fino all’ultimo è stato Sandro Luporini). Offrono un tipo di spettacolo completamente diverso: De André suona e canta sempre seduto, Gaber va avanti e indietro sul palco con una vasta gamma espressiva fatta di mimica, ammiccamenti, timbriche e dinamiche variabilissime, toni declamatori, intimisti, indignati, ecc. Gaber in due ore e mezzo di spettacolo non legge una parola, De André senza testi davanti sarebbe perduto. Gaber mediamente fa ridere. Faber, no (anche se poi in Gaber troviamo pezzi di alta drammaticità, così come in De André alcuni brani ironici o divertenti).
Dice, ma allora cos’hanno di così affine? Molte cose: sono coetanei, ambedue figli di genitori borghesi, entrambi libertari di idee anarchiche e pacifiste, fuori dagli schemi, fortemente antisistema, convinti anticlericali, tutti e due dotati (o ‘sofferenti’) di slanci utopistici, entrambi sensibili a temi quali l’arroganza e l’ipocrisia del potere, l’ingiustizia sociale, le diversità, la falsa coscienza, prendono le distanze da moralisti e intellettuali. Ognuno a modo suo ma sono entrambi dei visionari, liberi pensatori, insofferenti all’omologazione e alle massificazioni. Entrambi sono molto colti.
Sia De André che Gaber si soffermano sulla caduta di ideali e valori, sul fallimento di quelle idee che sembravano poter rinnovare la società dopo il ’68. Due brani degli anni ’90 inquadrano perfettamente questo loro scoramento: “Qualcuno era comunista” e “La domenica delle salme”.
Anticapitalisti entrambi sono contro il consumismo e il fenomeno strettamente legato, quello del conformismo, quel fenomeno per cui tutti aderiscono allo stesso stile di vita e ai modelli di pensiero fintamente differenziati dettati dal sistema con l’illusione che siano il frutto di una scelta personale.